lunedì 8 ottobre 2007

Che Guevara: un mito?



Ricorre il 40° anniversario della morte di Ernesto Guevara, ai più noti come Che Guevara, o semplicemente il Che. Il suo primo piano immortalato in una foto scattata da Alberto Korda è stato riprodotto nel corso degli anni su milioni di magliette, poster e oggetti kitsch. Quella foto fu scattata mentre Guevara saliva sul podio durante il funerale di 140 cubani uccisi da un'esplosione di un battello, attribuita alla Cia. In realtà la foto è un fotomontaggio in quanto, nella foto originale, il comandante si trovava tra un uomo e delle foglie di palma, ma Korda, impressionato dall'intensità dell'espressione del Che, decise di isolarne il volto "encabronado y dolente" (corrucciato e triste) e nacque quel primo piano, destinato a diventare un'icona. Praticamente sconosciuta prima di essere riprodotta in Italia in occasione della morte di Guevara, l'immagine divenne rapidamente in tutto il mondo il simbolo della rivolta studentesca del '68. Comparve su poster, magliette, murales e fu usata in una miriade di dimostrazioni negli anni che seguirono. Volevo prendere spunto da questo aneddoto per capire se anche la sua storia, il suo mito, sono frutto di un “ritocco” , di un “montaggio” oppure no. A tal proposito cerco di postare il punto di vista, le ragioni di chi lo ritiene un mito, e le motivazioni che invece spingono altri a non considerarlo tale.


Io credo che anche con il “Che” ci ritroviamo di fronte alla situazione che si verifica quando si vuole fare di un uomo un idolo, un mito. Ciò determina strumentalizzazioni, sia da parte di chi ne condivide idee ed operato, sia da parte di chi non condivide né le une né l’altro. Spesso in queste situazioni ci si dimentica che in ogni caso si sta parlando di un uomo e come tale vittima delle debolezze, delle incertezze e degli sbagli tipici della natura umana. Il voler fare di un uomo un mito, un idolo, una bandiera, risponde all’esigenza di quanti cercano un’incarnazione a tutti i costi, una personificazione dei propri sogni, che possa continuare ad alimentare le proprie speranze e la propria necessità di credere in qualcosa. D’altro canto la creazione di simboli ed idoli condivisi crea aggregazione, e rende più facile il compito di quanti utilizzano questi vessilli per orientare le masse nella direzione voluta, specialmente nei regimi NON democratici, ma non solo. Per questo motivo, personalmente, in genere tendo a diffidare di tali “idoli” e cerco, per quanto mi è possibile di conservare sempre un atteggiamento equidistante e possibilmente critico. Per quanto riguarda il “che” non mi sento di esprimere un giudizio sulle sue idee, forse più nobili nelle intenzioni che nella pratica. Comunque gli va dato atto di essere stato un uomo che si è impegnato in prima persona per affermare le proprie idee, condivisibili o meno, e non ha delegato ad altri questo compito, stando magari dietro ad una scrivania con qualche segretaria .



LA VITA


Ernesto Guevara de la Serna nasce nella città argentina di Rosario, vicino al confine con il Paraguay, il 14 giugno 1928. Fin da bambino impara a convivere con l'asma, malattia che lo afflisse per tutta la vita. Pur praticando numerosi sport, la sua passione resta la lettura: Baudelaire e Neruda sono i suoi poeti preferiti. Dopo essersi trasferito a Buenos Aires, si iscrive alla facoltà di Medicina, ma appena possibile viaggia per il paese in motocicletta o in bicicletta, a ovest fino alle Ande oppure a sud nell'immensità delle Pampas. A fine dicembre del 1951 parte in moto con Alberto Granado per visitare alcuni paesi della costa del Pacifico, ma a Santiago del Cile la moto viene abbandonata e i due proseguono il loro viaggio con ogni mezzo disponibile.Ernesto inizia a tenere un diario, in cui annota puntigliosamente tutto quello che capita. Guevara nel 1953 in Ecuador, conosce Ricardo Rojo, un esiliato argentino, che gli racconta della straordinaria riforma agraria promulgata dal Presidente del Guatemala Jacobo Arbenz, che aveva avuto il coraggio di esprorpiare più di duecentocinquantamila acri di terra della United Fruit Company. Senza esitare, Guevara si dirige in Guatemala. Qui conosce Hilda Gadea, un'esiliata peruviana, che lo mette in contatto con un gruppo di rivoluzionari cubani, sopravvissuti all'assalto alla caserma Moncada: Dario Lopez, Mario Dalmau, Armando Arencibia e Nico Lopez. Essi iniziano a chiamarlo Che, parola argentina di origine guaranì, che egli, come molti argentini, usa come intercalare.Nell'agosto del 1954, in seguito all'intervento militare statunitense in Guatemale, contro il legittimo governo di Arbenz , il Che si rifugia a Città del Messico, dove ottiene un posto nell'Istituto di cardiologia all'Ospedale Generale della città. In luglio il Che incontra Fidel Castro e decide di arruolarsi subito come medico alla spedizione che si sta preparando. Dopo un lungo addestramento e due mesi di prigione, finalmente il 25 novembre del 1956 lo yacht Granma parte con a bordo ottantadue uomini con rotta verso oriente, verso l'isola di Cuba. Dopo una settimana di mare mosso e di nausea, il gruppo sbarca a Playa de las Coloradas, nella parte orientale dell'isola e nel giro di tre giorni ben settanta membri della spedizione rimangono sul campo di battaglia: solamente dodici uomini si rifugiano allora tra la vegetazione della Sierra Maestra. Gli scontri armati tra l'esercito di Batista e i barbudos, che accolgono tra le loro fila sempre più gente, durano ben due anni: il 28 dicembre 1958 Guevara, a capo della propria divisione militare, vince la decisiva battaglia di Santa Clara e dopo pochi giorni, il 2 gennaio 1959, la colonna del Che entra all'Avana.Il 9 febbraio un decreto del governo dichiara Ernesto Guevara cittadino cubano di nascita per i servizi resi alla rivoluzione. Tra giugno e novembre inizia un lungo viaggio tra i paesi non allineati: si incontra, tra gli altri, con Nasser, Nehru, Sukarno e Tito. Al ritorno è nominato Presidente del Banco Nacional de Cuba. L'anno seguente visita i paesi dell'est europeo e la Cina: intavola trattative commerciali con Mikoyan, Mao e Chu en Lai. A febbraio del 1961 Guevara viene nominato Ministro dell'Industria. Il 15 aprile mercenari finanziati dalla Cia tentano un'invasione dell'isola alla Baia dei Porci: il Che partecipa attivamente alla difesa e alla sconfitta degli invasori. La vita politica di Guevara prosegue tra mille impegni e viaggi all'estero: l'11 dicembre 1964 pronuncia un discorso davanti all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a New York; pochi giorni dopo parte per l'Africa e per la Cina. Il 14 marzo 1965 rientra a La Habana. All'aeroporto lo accoglie Fidel Castro: è l'ultima volta che il Che compare in pubblico. Il 3 ottobre, in risposta alle supposizioni fatte da alcuni giornali stranieri sulla sorte del Che, Castro legge la lettera d'addio scritta da quest'ultimo prima della sua partenza da Cuba. A novembre del 1966 Ernesto Guevara, travestito ed irriconoscibile, raggiunge la selva boliviana e si aggrega al focolaio guerrigliero, che è lì installato. L'esercito di Barrientos riesce a limitare la diffusione della guerriglia, che, infatti, mai attecchirà tra gli spaventati campesinos boliviani. L'8 ottobre 1967, alla Quebrada del Yuro, vicino al villaggio di Higueras, un distaccamento di rangers si scontra col gruppo di guerriglieri capeggiato da Guevara: il Che, colpito da una raffica di mitragliatrice alle gambe, è fatto prigioniero. Poche ore dopo verrà freddato con un colpo di pistola al cuore.


IL “CHE”: UN MITO


Come tutti gli eroi, il Che combatte contro il mostro che affama e inghiotte la povera gente, compie imprese meravigliose che suscitano stupore e ammirazione, rinuncia, in nome di una giusta causa, alla tranquillità, per affrontare sacrifici e pericoli, acquista via via una saggezza, una nobiltà e una forza d'animo che lo fanno apparire come un profeta e una guida. È possibile ravvisare delle costanti antropologiche negli eroi, ma è certo che questi nel tempo hanno assunto spesso caratteristiche diverse. Il Che, ad esempio, non è un eroe classico perché non ha parentele con antenati divini. Non è un eroe medievale perché non è fedele ad un re. Non è un eroe romantico perché la sua vita non è basata solo sullo spirito. Non è un eroe moderno perché la sua azione non si fonda sul sapere. È un eroe storico perché ha compiuto imprese documentate dagli uomini. È un eroe naturale perché simboleggia il sole che lotta contro l'oscurità. È un eroe morale perché rappresenta la lotta dell'uomo contro se stesso. È un eroe universale perché non lotta per la patria, ma per l'umanità. È un eroe tragico perché la sua nobiltà d'animo e i suoi ideali puri lo conducono ad una morte prematura. Sul piano dell'etica, il Che somiglia più ad un santo che ad un eroe. Nessun altro individuo è riuscito ad incarnare in modo così completo ed esemplare la mentalità e la sensibilità dell'uomo cristiano. Egli appare come una figura ideale, modello di virtù superiori, emblema dell'amore disinteressato per l'umanità. [...] La sua figura crea gravi conflitti alle coscienze lacerate e inaridite dei suoi contemporanei, dai quali è nel contempo temuto e amato. Temuto perché rimprovera loro di vivere in un modo innaturale e perché mette in discussione l'ordine delle cose; amato perché combatte quelle norme che snaturano l'essere e mette in luce valori essenzialmente umani. Il rivoluzionario argentino è un eroe epico e tragico, un esempio di speranza e di sconfitta. Il Che che, insieme alla sua gloriosa colonna ribelle, sconfigge i soldati di Batista a Santa Clara e che poco dopo arriva come un liberatore all'Avana, è un eroe epico. È tale perché i suoi ideali non sono legati alla morte, ma alla vita, perché dopo un lungo isolamento sulle montagne, ritorna nella società dove porta un soffio di fiducia e di felicità, perché al suo nome e a quello di altri compagni sono legate imprese eroiche e leggendarie, perché la rivoluzione cubana ha segnato un'epoca e si iscrive nella memoria storica come un evento grandioso. Il Che, isolato e braccato dai soldati di Barrientos nella foresta boliviana e colpito a morte nella scuola di Higueras, è un eroe tragico. È tale perché la sua vita è contrassegnata da un crescendo di sofferenze, perché consapevolmente va incontro al suo destino, perché insieme a lui muoiono i grandi ideali per cui si era battuto, perché la sua è una nobile morte. [...]

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