domenica 21 ottobre 2007

Troppa libertà in "rete"





Siete tra quanti si indignarono per l’ “editto bulgaro” di Berlusconi? Quello con cui tappò la bocca a Biagi, Luttazzi e Santoro? Bene, in politica, più che in qualsiasi altro settore, sembra che al peggio non vi sia mai limite. Si è passati dal chiudere la bocca a tre giornalisti scomodi al tentativo di chiuderla all’intero Web italiano. Ci sarebbe da ridere, se non ci si dovesse incazzare. Ma veniamo ai fatti. Il 12 ottobre del 2007 il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge (successivo alla “legge delega” del 3 agosto) noto come Levi-Prodi, per il quale chiunque abbia un blog o un sito personale deve registrarlo ad uno speciale registro dell'Autorità delle Comunicazioni, producendo dei certificati e pagando eventuali marche da bollo, anche se fa informazione senza fini di lucro. Il disegno di legge obbliga inoltre a dotarsi di una società editrice e ad avere un giornalista iscritto all'albo come direttore responsabile. Il mancato rispetto di queste regole comporterà la chiusura dell’eventuale sito o blog.

Ma cosa occorre per registrarsi a questo Registro degli Operatori di Comunicazione? Tale registro ha sede a Napoli e fa parte dell’Autorità per le garanzie sulle Telecomunicazioni, sul loro sito è possibile consultare la serie degli adempimenti da espletare per ottemperare a questa “formalità”, per visualizzarli clicca qui.

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Questa notizia, piombata sul popolo di internet come un fulmine a ciel sereno, naturalmente, è stata data da pochissimi editori, tra i quali Beppe Grillo, Punto-Informatico.it, Xavier Jacobelli su Quotidiano.net e qualche altro portale che non ha nulla a che vedere con il servizio di informazione. Silenzio da tutti gli altri mezzi di informazione.

Oltre alla natura censoria del disegno di legge, va sottolineato anche un altro rovescio della medaglia, ovvero la morte di tutti i piccoli provider italiani, i quali si troveranno di fronte ad una migrazione di massa verso server ubicati in democrazie di nome e di fatto. Occorre considerare inoltre, la montagna di introiti extra che otterrebbe il registro con questo disegno legge ( già soprannominato da alcuni “internet tax”), la cui giustificazione è la necessità di “tutelare dalla diffamazione”. Non ci rimane che augurarci che questo provvedimento non vada molto lontano, alla faccia di chi teme una rete (ed un’informazione) LIBERA, e vorrebbe metterle il bavaglio.

Firmate la petizione "No al DDL che limita la democrazia in Rete"

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